Thursday 23 October 2008

(Safari) DSN Decade Safari Njema Oct08

DECADE SAFARI NJEMA (DSN)
Viaggio alla ricerca delle strade rosse

Per raccontare la nascita di un viaggio come questo bisogna partire da molto lontano, forse da quando ci siamo conosciuti. O forse da ancora prima, da quando abbiamo iniziato a ritrovare, ognuno per conto nostro, la voglia di riscoprire il mondo calpestandolo con i propri piedi.
Il modo migliore che conosciamo è quello di abbandonare lungo il cammino le strade asfaltate e andare alla ricerca delle strade rosse, quelle che ancora conservano la storia dell’uomo: quelle che puoi calpestare con i piedi ascoltando il racconto della tua vita, che si fonde con il racconto del cammino dell’uomo sulla terra.
Un racconto che lasciamo ad un possibile libro che forse vedrà la luce.
Per ora ci limitiamo a prendere appunti su quello che vediamo, in queste brevi pagine destinate agli amici vicini e a noi stessi. Per non perdere la rotta che abbiamo intrapreso.
Decade Safari Njema, un misto di inglese e swaili, significa il buon viaggio del decennio: questo è il nome che abbiamo scelto per questo viaggio a lungo sognato nell’immensa regione dell’East Africa. Secondo i piani attraverseremo 5 paesi, Kenya, Tanzania, Burundi, Randa e Uganda, in un viaggio circolare attorno al Lago Vittoria, che ci riporterà in Kenya da nord dopo circa 6.000 km.
Noi siamo Jo & Cri.

LA PARTENZA
Ottobre 2008

Caricare la macchina è un momento fondamentale del safari: decide quello che potrai fare e sino a dove potrai spingerti. La ricerca di un sottile equilibrio tra il massimo della leggerezza e il massimo dell’autosufficienza. Un esercizio interessante che ti porta a tagliare il superfluo, a rivedere le tue priorità: una Toyota Surf è uno spazio limitato per essere autosufficienti nel bush.
Bisogna trovare spazio per gli effetti personali e per l’equipaggiamento comune per la sopravvivenza: vettovaglie ed accessori, il campo. Quest’ultimo nasce da l’esperienza di anni, da tanti piccoli viaggi simili volti alla ricerca di questo equilibrio.
Vettovaglie ed accessori: un fornello a due fuochi con due bombole da 10 lt. messi in un cartone nel bagagliaio; una borsa con padella, pentola, bricco bollitore, moka, un tagliere, una piccola griglia, posate piatti e bicchieri, sempre nel bagagliaio; una cassa metallica con lucchetto messa sul portapacchi e coperta da un telo di plastica che funge da cambusa: pasta, olio extravergine, scatolette, caffè. Un piccolo frigo a 12 volt messo nel sedile dietro per la roba fresca comprata per strada di volta in volta: 6 lattine di birra, il vino, uova e pancetta, pomodori, un culo di prosciutto crudo. Le verdure non deperibili stanno in un sacchetto dietro: cipolle, aglio, patate.
Il campo comprende: due tende (una di riserva usata come magazzino notturno), due lettini di tela smontabili con materassini e coperte. Tavolo e sedie piegabili, due sgabelli e una stuoia per il nostro salotto nel bush. Un generatore con presa multipla per soddisfare tutte le esigenze elettroniche: GPS, portatili, macchine fotografiche, telefoni, frigorifero e lampadine per l’illuminazione del campo, lampada a gas per serate più ecologiche. Taniche d’acqua potabile e non.
La macchina: cassetta degli attrezzi indispensabili, 2 taniche per il Diesel e una per la benzina del generatore, scorta di olio e filtri per fare il service durante il viaggio e tante altre piccole cose che occupano tanto spazio nel loro insieme ma che al momento in cui scrivo dopo 3500 Km si sono rivelate importanti.

NAIROBI – TZAVO EAST
2 ottobre 2008 – Km 303

La partenza è dura, Nairobi sembra non volerci lasciar andare e ci avvolge con i suoi tentacoli di caos e smog. Sudore e polvere si mescolano nella ricerca della seconda ruota di scorta, indispensabile per un viaggio di 6.000 km nell’east Africa. La macchina è carica ma ci mancano alcuni dettagli. Passiamo dall’ufficio di Save the Children per stampare il logo del DSN e ci informiamo sulla sicurezza della strada tra Garissa e Hola: ci dicono essere sicura durante il giorno ma dopo altre chiamate scopriamo che a causa della mancanza di pioggia e della conseguente moria di animali, la gente del posto ha organizzato dei veri e propri posti di blocco lungo la strada, dove chiedono e pretendono aiuti di tutti i generi alle vetture che passano. Noi in quanto bianchi (Muzungu) abbiamo un handicap maggiore e tanto da perdere…. Si fara’ un'altra strada!
La Mombasa road, strada che da Mombasa porta fino al centr’Africa e’ in ottime condizioni, noi la facciamo da Nairobi verso Est e ci porta fino allo Tzavo Est lungo la storica ferrovia teatro di feroci attacchi da parte di una coppia di leoni durante la costruzione della stessa nel 1898. (Per chi ha visto il film “Spiriti nella notte"

































































































Lo Tzavo Est e’ enorme ed assieme allo Tzavo Ovest copre l’80% della superficie dei parchi nazionali in Kenya. Noi troviamo un bel posto per attrezzare il nostro campo a Ndololo, un area semiarida attraversata dal fiume Tzavo che alimenta alberi e cespugli lungo il suo corso. Il nostro campo e’ montato vicino all’abbeverata degli elefanti. La mattina presto il calpestare dei rami secchi ci sveglia e il primo caffe’ nel bush del nostro viaggio lo prepariamo davanti a questo enorme spettacolo....e così si è chiusa la prima piccola parte del nostro lungo safari.



TZAVO EAST – LALI RESERVE
3 ottobre 2008 – Km 125
Al mattino ci dirigiamo verso la Lali Riserve, una zona protetta non particolarmente ricca di fauna, dove Simone, un nostro amico romano ha costruito un campo tendato permanente su un’ansa del fiume Tzavo.
Il percorso dallo Ndololo Camp verso la Lali Riserve si snoda lungo il fiume Tzavo, la zona più verde del Parco Nazionale, ed è frequentata da tutte le specie animali presenti nel parco: tutto il cammino è un game drive (guida dentro i parchi alla ricerca di animali) affascinante, dove incontriamo leoni, elefanti, antilopi, zebre che a turno si avvicinano al fiume per abbeverarsi, seguendo gerarchie a noi sconosciute ma visibili ai nostri occhi nel gioco infinito tra predatori e prede. L’acqua è vita in questa stagione secca della savana, anche per i predatori.
Sosta alle Cascate Lugards: parcheggio all’ombra di un’acacia con vista sulle cascate ed improvvisamente, spinti da una fame atavica, il portellone posteriore si ribalta a mo di tavolo, spuntano fornello, padella, olio d’oliva e uova e miracolosamente 4 uova strapazzate con pancetta sono servite.
Gli ultimi chilometri prima del campo di Simone si snodano lungo una vallata arida di sassi e cespugli: una singola palma ripara una famiglia di elefanti dal sole impietoso.
Simone ci accoglie sulla cima di una collina a pochi Km dal suo campo e dopo i saluti ci fa strada. Siamo ritornati sul fiume e la vegetazione è tornata rigogliosa. Il campo è splendido, composto da 4 tende spaziose con bagno e doccia ricavate all’interno in una parte separata della tenda principale che ospita 2 letti generosi un vero lusso nel bush che noi non abbiamo potuto organizzare, limitati dallo spazio disponibile.
Poi piu’ in la su un promontorio Simone ha posizionato la tenda che funge da sala pranzo, con un tavolo da 12 posti apparecchiato come in un qualsiasi hotel che si rispetti.
La veranda con divani fatti in olivo selvatico tipico di questa zona si affaccia sull’ansa del fiume, popolata da antilopi, elefanti e uccelli di ogni tipo legati al fiume indissolubilmente….siamo seduti in prima fila per questo spettacolo della natura.
Un “game drive” sulla collina più alta della riserva, la ricerca dei ghepardi avvistati dalle guardie la mattina ed il ritorno al campo poco prima del tramonto chiudono questo secondo giorno nel bush. I clienti di Simone erano gia’ sotto la doccia dopo il loro lungo game drive dentro lo Tzavo East. Luca, un calabrese nato in Kenya che parla lo swaili meglio dell’italiano e socio di Simone, ci saluta stanco per la mole che si porta dietro e per la giornata spesa con una macchina piena di esigenti clienti bergamaschi che ha accompagnato nel game drive. La cena, che segue l’aperitivo attorno ad un grande fuoco sotto le stelle, e’ sontuosa se penso che siamo nel nulla. Il nostro salame calabrese e’ accolto con gioia dai clienti di Simone e Luca e ricambiato da gnocchi freschi e cotolette con purea di patate, preparate nella tenda cucina costruita accanto e gestita da 7 ragazzi locali tra cuochi e camerieri. Il nostro vino italiano completa degnamente la cena.
Crolliamo nei comodi letti dopo una grandiosa doccia, cullati dal rumore ritmico dei passi degli elefanti che guadano il fiume.

LALI RISERVE – MALINDI – BAMBURI
4/6 OTTOBRE 2008 – Km 350

La mattina facciamo uno spensierato game drive, con Joseph che alza il minimo della Toyota e corre per riprendere la macchina che va da sola. Ci va di scherzare e siamo allegri, ma i piccoli imprevisti ci riportano alto il livello di attenzione che va tenuto nel bush: Cristiano alla guida prende un tronco secco con la ruota sinistra; a Joseph cade la sigaretta dal finestrino e con la frenata il GPS parte come un missile e si rompe il jack dell’antenna. Ripartiamo consapevoli di dover rimanere sempre in armonia con l’ambiente che ci circonda.
Un elefante a pochi metri dalla strada allarga le orecchie per mostrarci quanto è grande mentre placido procede verso il fiume e ci conferma che siamo sulla buona strada.
Dopo una veloce grigliata con il filetto portato da Nairobi, ormai perfettamente frollato, salutiamo Simone e Luca e ci dirigiamo verso Malindi lungo un’infinita strada sterrata: 70 km di pista rossa che taglia in due una fitta vegetazione lungo il fiume Galana.
Una sosta sul mare in un piccolo campeggio recintato da un muro, dove siamo unici clienti. Montiamo rapidamente il campo, cuciniamo e siamo pronti per una birra fresca in centro.
La mattina si riparte verso Bamburi, il Big Tree di Luciano, un resort sull’Oceano Indiano.
Due giorni rigeneranti, usati per un controllo generale dell’attrezzature e per riparare un fanale della toyota, rottosi in retromarcia contro un albero che un askari (guardia) aveva spostato senza avvisarci. Luciano ci accoglie alla grande come al solito. Il locale che gestisce è ancora migliorato, rispetto all’ultima volta: piccoli dettagli e nuovi servizi hanno reso il Big Tree ancora più confortevole. E Luciano, senza più il codino e con i capelli a spazzola, sembra ringiovanito.
Quando aveva saputo del nostro safari ho visto i suoi occhi illuminarsi e la volontà combattere contro le sue responsabilita’ nel tentativo di unirsi con noi al DSN.
Caro Luciano, sei con noi in questo viaggio.










BAMBURI – TZAVO WEST – AMBOSELI
7/9 ottobre 2008 – Km

Molti chilometri di asfalto ci separano dallo Tsavo West, il parco gemello dello East. Comunque di buona lena e rincuorati dalla compagnia di Luciano facciamo una buona scorta di viveri freschi e, benzine varie e l’affrontiamo sapendo che comunque stiamo andando incontro ad un migliaio di Km nel bush vero dove l’asfalto sara’ solo un ricordo.
Sotto festeggiamo i primi 1000 Km. di strada.

Lo Tsavo West e’ ancora piu arido se possibile ma noi ci dirigiamo verso il lago Jipe all’estremo sud del parco. Come al solito visto la stagione molto secca ricerchiamo le zone dove l’acqua e’ piu’ presente.
Il tramonto ci coglie in procinto di raggiungere il lago e lo intravediamo finalmente nel momento in cui il sole si sdraia dietro al mitico Kilimanjaro.
Al lago troviamo un ranger che ci offre di usare la cucina di un bungalow e noi montiamo il campo sotto un albero a 20 metri dalla riva.
Una famiglia di ippopotami osserva le strane attività di questi 2 strani umani e con i loro rumorosi versi ci ricordano che siamo a casa loro. Stasera lo chef (Cristiano) propone carne con cipolle e peperoni in casseruola… I grugniti ci hanno tenuto bene in guardia durante la notte ed ogni tanto, quando alimentavamo il fuoco, puntavamo gli ippopotami con una potente torcia che gli illuminava gli occhi. La notte ventosa e la loro vicina presenza in un ambiente così sconfinato ci ha dilatato i sensi…ma dove siamo…cosa ci facciamo qui…e soprattutto… ma che cazz…!!!

















La mattina dopo di buon ora siamo per strada verso la parte nord del parco, abbiamo deciso di passarci un'altra notte considerando che l’area e’ immensa e per vederla bene ci serve un altro giorno. Siamo costretti ad andare al gate principale (entrata) nell’estremo nord per pagare la notte in più. Questo ci comporta una corsa contro il tempo dettato dall’ora di uscita a 24 ore dall’entrata. Lo Tzavo e’ immenso! Al gate dopo aver pagato ci informano che l’area per campeggiare vicino al gate e’ priva di acqua: ci tocca quindi ritornare sui nostri passi a sud, un’ora e mezza o 35 Km di sterrato per montare il nostro campo al Chihulu campsite. L’area non e’ niente di speciale ma ha acqua corrente che ci consente una doccia super e mutande pulite: Cristiano offre da bere!!!
Il game drive della mattina dopo è indescrivibile e questo aggettivo non è usato con leggerezza: impossibile spiegare lo spettacolo che ci appare dietro ogni collina e ad ogni curva delle strade rosse che si snodano lungo il regno della natura selvaggia. Le foto sono solo limitati spot di quello che cogliamo con gli occhi e immagazziniamo nell’anima.
Dopo una sosta alle Mzima Springs, sorgenti d’acqua purissima abitate da hippo e coccodrilli, ci dirigiamo in tarda mattinata verso il Finch Hatton Camp, che prende il nome dal pilota d’aerei realmente esistito nella vita di Karen Blixen descritta nel film/libro “La mia Africa”. Il campo mantiene la vecchia “gloria coloniale” dei bianchi inglesi, con camerieri neri in divisa bianca, tovaglie color crema e vassoi d’argento.
Negoziamo l’uscita dal gate privato del Finch Hatton Camp situato ad ovest, evitando i tanti chilometri per uscire dal gate principale a nord. Usciamo dallo Tzavo ma siamo ancora dentro l’Africa. Non cambia niente: le acacie, le strade rosse, i branchi di gazzelle, il sole infuocato. ci dirigiamo verso l’Amboseli National Park, un parco ai confini con la Tanzania. Lungo la strada passiamo a portare i saluti di Flavio, un amico di Nairobi che importa e vende prodotti alimentari italiani, al suo cliente Luca, che gestisce un campo tendato poco distante. L’uscita dal gate “non ufficiale” dello Tzavo ci impedisce di leggere il cartello che avvisa dell’inizio della Kuku Riserve e che l’entrata ha un suo costo.
Ce lo fa subito presente Luca al nostro arrivo al suo campo, quando ci accoglie con una freddezza al momento indecifrabile per noi. Ci presentiamo come portatori di saluti ufficiali da parte di Flavio, ma Luca noncurante ci fa notare con superbia che la sola presenta nell’area protetta comporta il pagamento di 70 USD (destinati alla comunità masai), mentre una notte nel suo campo costa appena 490 USD (destinate alle sue umili necessità quotidiane).
Per evitare la tassa non serve spiegare che siamo di passaggio, che portiamo i saluti di un amico e che non abbiamo letto nessun cartello: Luca ci fa notare che se non paghiamo non ci fa uscire dalla riserva, menzionando i suoi rangers masai che presidiano le uscite del suo regno sconfinato, che si estende sino alle falde del Kilimangiaro. Dobbiamo inoltre rendere conto su dove vogliamo montare il campo, senza averne la minima idea, per evitare, a sua detta, le incursioni notturne dei rangers masai guidati dalla luce del nostro fuoco. Morale della favola, il campo che lui gestisce, “Campi ya Kanzi”, viene rinominato nel GPS “Campi ya Strunz”, diventando nel nostro viaggio un insulto di uso quotidiano per ogni situazione o persona spiacevole.
Di tutt’altra energia quello che segue allo sfortunato incontro. Su consiglio di alcuni masai campeggiamo nei pressi di una sorgente immersi in un fitto bosco, fino ad ora il campo più naturale e selvaggio che abbiamo fatto. Convinciamo due masai armati di lancia tipica a farci la guardia notturna, per tenere il fuoco acceso durante la notte visto che siamo in una zona aperta poco sicura e non protetta come nei parchi Nazionali.

















Il campo nel nulla nel territorio masai viene battezzato JoCri Camp.
Dopo aver montato la tenda c’è appena lo spazio per fare il fuoco e aprire il tavolo con le sedie per la cena. Le nostre guardie sono stupite dalle magie che produciamo in abbondanza, come la luce prodotta dal generatore e l‘acqua fredda che esce dalla scatola-frigorifero e nasce in loro un rispetto reverenziale nei nostri confronti che ci garantisce un buon servizio.
All’alba del giorno dopo riaccompagniamo i masai al villaggio e ci dirigiamo verso l’Amboseli, lungo una strada classificata da noi, fino ad ora, come la seconda peggiore del DSN. La macchina soffre per le buche e le corrugations, fenomeno causato dal passaggio di mezzi pesanti che rendono nel tempo le strade in terra battuta un susseguirsi di cunette e piccoli dossi che ricordano i segni lasciati da un cingolato.
Entriamo nell’Amboseli verso mezzogiorno, ora ideale per poter montare il campo, fare il game drive al tramonto (il migliore) e quello mattutino seguito dalla calorica colazione, per uscire poi alla scadenza delle 24 ore consentite.
Il Parco dell’Amboseli comprende il lago omonimo, che durante la stagione delle piogge triplica la sua estensione. Durante la stagione secca, come adesso, gli swamp (acquitrini) garantiscono la sopravvivenza di tutte le forme di vita animale, tra cui una grossa comunità di elefanti, ippopotami, antilopi e una grande varietà di uccelli volanti e non.
Arriviamo al gate pochi minuti prima della scadenza e con il Kilimangiaro davanti a noi, che ci indica la via come la stella del sud, ci dirigiamo verso il confine con la Tanzania, che segna la fine della prima parte del nostro Decade Safari Njema.






DEADE SAFARI NJEMA (DSN)
Un viaggio alla ricerca delle strade rosse
2nd part, Tanzania


Della Tanzania ci colpisce subito un cambiamento evidente rispetto al Kenya: le strade sono migliori, c’è più ordine e pulizia, una migliore organizzazione. Lungo la strada che attraversa terre sterminare all’orizzonte si alternano scavatrici e asfaltatrici che lavorano alle nuove strade e gruppi di masai con il loro gregge che procedono verso quello che a noi sembra il nulla.. Alla luce dei fatti, non e ‘ possibile spiegare con le foto qui incluse le immagini e le sensazioni che proviamo. E’ un susseguirsi di sorprese, belle e diverse. Inoltre non possiamo includere le milleedisparifotoscattate fino ad adesso
ARUSHA – NGORONGORO NP
11/14 ottobre 2008
Abbiamo lasciato il Kenya ed entriamo in Tanzania da Namanga lasciandoci l’ imperioso Kili a Est. Arusha, città viva e legata alla partenza di tutti i safari destinati al Nord della Tanzania accoglie “la creme” del turismo ed anche noi ci tuffiamo, approfittando di tutte le comodita possibili a cominciare da un letto vero, un bagno con doccia.. bianco.. ossia non del colore del bush (e comunque fare la doccia nel bush e’ una sensazione stupenda) fare il bucato, mangiare qualcosa della produzione locale...un po di asfalto, comodo e silenzioso, con il campi ya strunz lontano nel tempo, la compagnia di Simone e Luca e di Luciano che ci accompagnano e i primi 1000 Km che ci lasciamo dietro alle Taita hills.
Si riparte subito comunque...altrimenti ci si abitua. Spesa tattica per 1 settimana di bush a venire ed in un attimo siamo di nuovo per strada, verso il cratere dello Ngorongoro, un vulcano spento da milioni di anni che ospita un pezzo di fauna e flora unici al mondo, con un lago, la foresta, il fiume e la sua bella savana, il tutto in un cratere dal diametro di 11 Km. Un ecosistema a se stante chiuso ma enorme, che riesci a percepire in tutta la sua interezza e al tempo stesso nella sua immensita’. La foto rende poco, dovete andarci.
Il nostro campo poi fotografato sotto la luna e’ spettacolare. Di notte le zebre brucavano attorno al campeggio...ecco perche’ l‘ erba sembra tagliata da poco...
Accanto a noi, che abbiamo scelto un angolo appartato distante dal campo centrale, due piccole tende con un’ampia tenda cucina attrezzata. La sera, acceso il fuoco, ci vengono a trovare i due nostri vicini, due ragazzi del posto che lavorano con un’agenzia: cucinano per i turisti che al ritorno dai game drive devono trovare i pasti pronti. Il più grande, che può avere 18 anni, ci racconta che ha avuto la fortuna di lavorare come cameriere per un ristorante e osservando e chiedendo ha imparato le basi per cucinare. Adesso ha portato il suo giovane amico con lui, come aiuto cuoco, per levarlo dalla strada e sottrarlo al destino di tanti suoi coetanei senza lavoro ne prospettive, che finiscono per bere e sniffare colla ai margini delle città….
Dentro il cratere abbiamo visto di tutto, il gattone ghepardo, i leoni dormiglioni, gli hippo che sguazzano beati nella loro pozza melmosa, uccelli di ogni colore, un sacco di bufali e tanti umani che stranamente sono molto interessanti da osservare in questa remota landa.
Strade rosse e polverose dovute alla stagione secca che si mescolano con strade pietrose ed insidiose, l’ammiraglia dimostra ancora di essere una buona compagna di viaggio, 35 gradi la media pomeridiana, il caldo mescolato alla polvere e’ asfissiante…
SERENGHETI NP
14/16 0tt0bre 2008
L’uscita dallo Ngorongoro è un rituffarsi nell’immenso di terre sterminate, appesi ad una sottile linea polverosa chiamata strada, che ci conduce sino ad un cartello che ci annuncia che stiamo entrando nello Serengheti National Park.
Un parco immenso al confine con il Kenya, dove si trova il suo gemello Masai Mara, che ogni anno assiste alla epocale migrazione di massa di milioni di Wild beast (gli Gnu) alla ricerca di acqua. In questa stagione secca, l’erba bassa ci consente di avvistare molti degli animali che abitano queste terre.
Una famiglia di 7 leoni cerca riparo sotto un albero lungo il ciglio della strada. Non è difficile individuarli: all’orizzonte vediamo 6 macchine raggruppate nello stesso punto ed è facile intuire che c’è qualcosa di grosso da vedere. I leoni, svogliati e accaldati, si fanno fotografare per ore mentre poltriscono quasi senza vita nelle ore calde. Al tramonto, al nostro ritorno, li ritroviamo nel solito posto ma svegli e intenti a leccarsi uno con l’altro, prima di muoversi verso il sole che scende arancione in cerca di cibo. Il game drive non lascia un attimo di tregua, ovunque ti giri sei atteso da qualche stupendo incontro.
Alla sera campeggiamo alla base di un “kopjie“, ammassi di roccia che trattengono l’ acqua e forniscono l’ambiente ideale ad alberi e cespugli per crescere e riparo a vari animali. Sono particolari perchè in questa distesa piatta che e’ il Serengeti i kopjie si ergono sparpagliati quasi a caso. Di notte, dopo un amatriciana cucinata a dovere dal grande Cristiano ci fa visita Ken un’americano accampato li vicino arrivato dal nulla che ci chiede se possiamo aggiungere la sua birra nel frigorifero e dopo aver caricato abbondantemente si dilegua nel buio. Piu’ tardi mentre sorseggiamo un liquore, stanchi e con la mente piena delle avventure della giornata Ken rispunta con la gola apparentemente molto secca, si apre una birra gelata offrendone anche a noi. La serata diventa nottata tra una chiacchierata e l’altra ma il generatore finisce la benzina e sancisce la buonanotte, tempismo perfetto, non c’e’ piu’ niente da dare a questa lunga giornata.
Il giorno dopo, in uscita dal parco verso nord-ovest, costeggiamo il fiume incontrando un numero incalcolabile di Wild beast, probabilmente rimasti a sud per le pioggie che hanno garantito loro il sostentamento. Poco più avanti, un paio di coccodrilli sonnecchiano nelle ore calde sul pelo dell’acqua, in attesa della sera, quando le loro possibile prede verranno ad abbeverarsi al fiume.

Gustiamo ogni profumo e colore sino all’ultimo, lasciando con nostalgia la savana e i suoi abitanti…


LAGO VITTORIA – CONFINE BURUNDI
17/20 ottobre 20087
Torniamo sull’asfalto in direzione Mwanza, il porto più importante della Tanzania sull’immenso Lago Vittoria. Iniziamo a inoltrarci in terre inesplorate anche per Jo: da questo punto sino a Kampala in Uganda, saranno posti in cui non si è mai avventurato nei suoi 15 anni di Africa.
La città è abbastanza ordinata e ne approfittiamo per un controllo generale dell’ammiraglia dopo tanti giorni di bush. Anche noi ne approfittiamo per toglierci un po’ di terra di dosso e nelle valige.
Mwanza è situata sul lago proprio all’inizio di una profonda insenatura che si dirama verso sud e accoglie il fiume Isanga. Per continuare verso ovest decidiamo di prendere il traghetto, per evitare la strada principale che a sud gira intorno all’insenatura passando per Shinyanga, e risparmiare così 150 Km (dipende dalla persona a cui chiedi, in Africa spesso l’unità di misura fuori dai grossi centri è h/p, cioè le ore impiegate a piedi per coprire una distanza tra due punti).
Usciti dalla città cerchiamo una strada asfaltata sulla destra, quella che conduce al porto del ferry, anche perché sulla cartina Michelin è segnata in rosso come strada principali. Dopo un po’ chiediamo e ci dicono che l’abbiamo superata di qualche chilometro. In effetti poco dopo avvistiamo un cartello scolorito in mezzo ad altri cento cartelli che dice qualcosa a proposito del ferry….davanti a noi una strada sterrata piena di buche e di persone a piedi! Dobbiamo telefonare agli editori della guida Michelin per avvisarli……
La stazione del ferry è in armonia con la strada, un casottino di legno con delle piccole bancarelle intorno che vendono cibo, bevande, vestiti e oggetti vari. Non ci sono orari di partenza, quando arriva il ferry ci si imbarca.
La traversata è breve e dall’altra parte comincia una strada rossa liscia e ampia, con dei tratti in cui lavorano sodo con macchine e molti uomini per preparare il fondo per l’asfalto: la larghezza sembra pensata per ospitare quattro corsie. Jo commenta ad alta voce che ci sono di mezzo i cinesi… infatti alla successiva interruzione, tra 5 uomini neri vestiti di scuro spicca l’ingegnere cinese con elmetto, camicia bianca e progetto in mano!
Ad un tratto i nostri stomaci diventano delle voragini senza fine… la macchina si ferma sotto un albero, il portellone posteriore si ribalta e sotto gli occhi increduli dei passanti in bicicletta la cucina produce due enormi panini a tre strati ripieno di pancetta appena soffritta nella padella.
Ripartiamo con le idee più chiare alla volta di Geita, l’unico punto di un qualche rilievo segnato sulle cartine in nostro possesso tra Mwanza e la zona del confine con il Burundi.
Appena entrati in città, mentre ci guardiamo intorno alla ricerca di un hotel o qualcosa di simile, un irreprensibile poliziotto ci fa notare che non abbiamo le cinture e che sono 10.000 Tsh (scellini tanzaniani). Non sembra di essere in Africa ma a Bologna…nessuna contrattazione ne possibilità di replica e offerta, inizia a scrivere il verbale e incassa i soldi. A quel punto gli chiediamo un posto per dormire molto economico, visto che ci ha tolto metà del budget previsto. Ci sistemiamo in una Guest House a 8.000 TSh a testa, bagno pessimo in comune ma un bel terrazzino dove facciamo, finalmente, lo stampo per il logo da dipingere sulla macchina.
La mattina seguente, dopo aver riparato l’ennesima gomma bucata, ci dirigiamo verso il confine con il Burundi: 20 km di asfalto, poi ad un incrocio surreale giriamo su di una strada sterrata che inizia a salire e si inerpica sino a 2.000 mt verso il confine con il Burundi. Facciamo i 3.000 km a 1.500 mt, su un tornante a strapiombo su pendii e valli coltivate con ordine. Approfittiamo della sosta per placare un languorino conosciuto, ma le uova consuete del mattino saltano, l’odore della prima non promette niente di buono. Così le altre 5 uova finiscono al tiro a segno contro una grossa pietra sotto di noi e ripieghiamo su piselli con cipolla e pezzi di prosciutto di Flavio che ci portiamo da Nairobi. Sulle montagne incombe il temporale e finiamo la cottura appena in tempo per entrare in macchina con padella e pane e le forchette tra i denti: i piccoli pastori scalzi che ci osservavano si coprono con teli di plastica mentre si scatena un bel temporale. Lucidiamo bene la padella con il pane, che così non bisogna neanche lavarla, e ripartiamo rifocillati nel freddo umido delle strada che taglia le montagne coperte di foreste e foschia, qualche villaggio di mattoni cotti lungo la strada ci da segni di vita umana. Ricomincia l’asfalto e troviamo i cartelli per Ngara, confine della Tanzania con il Burundi, a dirci che non ci siamo dirigendo verso Frittole (per gli amanti di Troisi e Benigni).
A Ngara utilizziamo tutti gli shellini tanzaniani in diesel per l’ammiraglia, otteniamo senza difficoltà il visto di tre giorni per il Burundi e ci dirigiamo verso Kabanga: siamo in Burundi!!!!!
Parte 3, Burundi, Rwanda, Uganda

BURUNDI
19/21 ottobre 2008

Entriamo in Burundi a metà pomeriggio e dobbiamo fermarci alla prima città per non farci cogliere dal buio tra le montagne. A Ngozi troviamo un piccolo albergo con camere a schiera a piano terra che affacciano su un ampio parcheggio, situazione ideale per aprire la nostra cucina da campo e produrre un buon piatto di pasta. Al mattino troviamo anche l’auto bella pulita, come è consuetudine in Africa: qualcuno dell’albergo te la lava e dai una mancia a tua discrezione. Di buona lena prepariamo e dipingiamo finalmente il logo, realizzato dall’amico Alessandro, sulla fiancata dell’ammiraglia. Con l’auto di nuovo bianca e orgogliosa del logo, ci dirigiamo alla volta della capitale Bujumbura. Il primo colpo d’occhio venendo dalla Tanzania è il cambio della scala cromatica e del clima: diventa tutto molto rigoglioso e verde, i tempi della polvere ad oltranza e dell’impietoso caldo secco sono finiti. Iniziamo ad inerpicarci su colline e montagne coltivate, sino a superare 2.200 mt SLM, un’infinita serie di curve caratterizzate da ripide salite che poco dopo diventano vertiginose discese. Un sali e scendi che caratterizza la vita e i trasporti di questo paese di coltivatori: per i motivi che seguiranno ribattezziamo questo paese “ Il paese delle banane”.
I veri personaggi della strada, quelli che la fanno da padrone, infatti, sono proprio loro: i bananari, quelli che le coltivano, che le raccolgono, che le vendono e specialmente quelli che le trasportano. I mercati ed i villaggi sono decorati da enormi caschi di banane e tutti i rivenditori, anche quelli che vendono stoffa, hanno almeno un “supercascodibanane” in esposizione. Aggrappati a colline scoscese trovi gente di qualsiasi età, in special modo ragazzini e donne, che coltivano o raccolgono i loro caschi quotidiani, ma il vero shock e’ vedere le biciclette cariche di caschi che affrontano salite tremende, spinte pazientemente a mano dal proprietario, e vedere poi le stesse biciclette lanciarsi in discese suicide, con curve che sfidano tutte le leggi di gravità. Il colmo poi è osservare gli stessi che si attaccano ai cassoni dei camion che passano per strada, in questo modo il tratto di strada in salita diventa un sollievo per il bananaro mentre la discesa e’ un atto suicida per ogni curva fatta a velocità impensabile, con passaggi di auto nell’altro senso di marcia che mettono a repentaglio la loro vita.
E davanti a voi?....Bujumbura, la città così vicina a detta del GPS ma che ad ogni curva aumentava la distanza di chilometri ed ancora chilometri: siamo stati a 25 chilometri in linea d’aria da Bujumbura per ore, continuando ad andare su e giù e di qua e di la ma Buj (così chiamata dai locali) non arriva mai. Finalmente, dopo ore, ci appare sulla vallata sotto di noi con il lago Tanganika a mo’ di cornice dietro.
Buj si rivela una piccola capitale caotica e trasandata, che rispecchia l’economia ancora precaria dopo il decennio di guerra civile. Appena arrivati visitiamo le decantate spiagge bianche sul lago ad ovest della città, bellissime e un po’ malinconiche sotto la pioggia che tiene lontani turisti e abituali frequentatori.
Nel pomeriggio la ricerca di un ristorante diventa un’impresa, tutti i locali sono chiusi sino a sera: a stomaco vuoto diventa difficile trovare anche da dormire. Ci imbattiamo in un hotel dignitoso ed a buon prezzo, ma dopo aver pagato e preso possesso della stanza, ci dicono che alle 23:00 il cancello chiude e si resta fuori: è un hotel gestito da preti protestanti. Dopo qualche trattativa e minacce di lasciare le stanze, raggiungiamo un accordo e da buoni italiani torniamo all’una di notte, dopo un ottimo pesce alla griglia con patatine fritte e un paio di partite a pool dove Jo conosce la prima sconfitta del safari.
Buj non offre molto quindi decidiamo di muoverci verso il Rwanda per restare dentro ai tre giorni di visto concessi dalla dogana. Non senza prima aver visitato la famosissima pietra che ricorda il famosissimo incontro tra gli esploratori del 19mo secolo Stanley e Livingstone, quando nel 1871 il primo incontrando per caso il secondo che non aveva mai conosciuto, pronunciò la famosa frase “Dr. Livingstone, I suppose” (diciamo che in quel periodo Livingstone era l’unico mzungu che si poteva incontrare in Africa con buona approssimazione). Chiaramente il famosissimo luogo non è segnalato da nessun cartello, lungo la strada Jo cerca una persona adeguata a cui chiedere se siamo sulla strada giusta per Mugere, il villaggio a 10 km dal centro che ospita la pietra. Accostiamo un signore di una certa età seduto fuori da una casa e Jo chiede in swaili: “Mugere iko wapi?” (sa dov’è Mugere?). Come risposta otteniamo: “Ime enda” (è andato via)… proseguiamo fiduciosi…
Finalmente troviamo chi ci conferma che siamo quasi arrivati: giriamo a destra, entrando dentro la veranda di casa di uno, e dietro appare una pietra ovoidale con inciso la data dell’evento e i nomi dei protagonisti. Veniamo circondati da un nugolo di bambini senza scarpe che entrano nella foto di rito a cui avranno assistito migliaia di volte.
Ripartiamo alla volta del Rwanda, costeggiando lungo la strada prati verdi seminati di croci, cimiteri sterminati prodotti dal decennio di guerra civile.
Riprendiamo con il sali e scendi, i missili di banane in discesa e i pazzi in bicicletta attaccati ai camion in salita, le infinite donne che a piedi trasportano pesi enormi sulla testa insieme al figlio a mo’ di marsupio dietro la schiena.

RWANDA
22/24 ottobre 2008
Il Rwanda è il paese delle mille colline, colorate di verde e coltivate a the, caffè e banane a seconda dell’altitudine, con un ordine quasi maniacale. Il paesaggio sembra finto, troppo bello e irreale, con le infinite colline ripide, che ci appaiono quasi impossibili anche da scalare, decorate dalle coltivazioni pulite e perfette. Dopo la solita sontuosa colazione affrontiamo con energia i 340 km di curve che ci separano dalla capitale Kigali. Aumentano i sorrisi lungo la strada e le persone, a giudicare dall’abbigliamento e dalle case, sembrano godere di un migliore tenore di vita. Dopo ogni vetta scalata il tempo può cambiare: il sole cocente sopra i duemila metri lascia il posto a minacciose nuvole che mantengono spesso le promesse di pioggia. Ma la bellezza del paesaggio ci da l’energia per raggiungere Kigali con il buio e sotto una fitta pioggia. Ci incolliamo ad un pulmino di giovani mzungu di ritorno da un safari organizzato, nella speranza che ci conduca ad un albergo discreto ma non costoso, ma questo risulta pieno. Dobbiamo trovarcelo da soli, cercando di orientarci con la cartina sulla guida. Dopo tre hotel troppo costosi capitiamo in un albergo gestito da un manager che ha vissuto per un periodo in Italia e tifa Juventus. Dopo poco realizzo che non capisce benissimo l’italiano anche se adora parlarlo, perché qualsiasi domanda gli facciamo risponde “si si, non c’è problema”, salvo poi constatare che non è affatto così. Mi diverto a chiedergli cose impossibili, tipo tre notti al prezzo di una ed ottengo la stessa risposta…anche questa frase diventa un must del safari…si si, non c’è problema….
Dopo una dormita rigenerante, ci mettiamo nel prato davanti alle stanze e, in attesa dei panni che abbiamo dato da lavare, iniziamo a scrivere il primo pezzo del nostro DSN. Quando la fame chiama, usciamo in cerca di cibo alla scoperta della città. Kigali è una bella capitale, con un centro pulito e locali all’europea. Restiamo sorpresi nel trovarla viva e florida, con centri commerciali, negozi, pub e ristoranti. Questo paese, martoriato da uno dei genocidi più devastanti e crudeli della storia, sembra essersi ripreso in poco tempo. Passiamo all’ufficio turistico nazionale per provare ad ottenere un permesso per il Parco Nazionale des Volcanos, al confine con il Congo, uno dei posti migliori per seguire le tracce dei gorilla nel loro habitat naturale, la foresta. Ogni giorno rilasciano solo 40 permessi, è tutto prenotato e i primi due posti liberi sono dopo 5 giorni. Troppo per la costosa Kigali, decidiamo di riprovare successivamente con i parchi dell’Uganda.
Ripartiamo e dopo poche curve e sali e scendi ci ritroviamo di fronte l’Hotel Des Mille Collines, reso famoso dal film Hotel Rwanda che racconta gli orrori del genocidio e la solitudine di un uomo che credeva nella vita più che nella diversità delle razze…un tuffo al cuore che rimbomba, mentre negli occhi si sovrappongono le immagine del film su quelle della realtà che stiamo osservando…impossibile non pensare che proprio lì dove siamo noi, poco tempo fa, migliaia di persone innocenti sono state trucidate brutalmente solo perché appartenevano ad una tribù sbagliata…come sempre in Africa bellezza e orrore si mescolano indissolubilmente.
Proseguiamo un po’ storditi e dopo una curva in salita, ma subito dopo in discesa, incontriamo un enorme Nakumatt, famosa catena di supermarket con centro commerciale del Kenya (tipo Auchan o Ipercoop): se hanno investito così tanto in Rwanda, pensiamo, l’economia deve andare alla grande, con prospettive concrete di crescita e durata.
Entriamo alla ricerca di un internet, per mandare agli amici la prima parte del nostro racconto, sotto un diluvio improvviso. Usciamo dalla macchina come dei razzi, con zaini dei computer e maglie raccolte di fretta. Facciamo spesa con un black out per il diluvio e ci fermiamo qualche ora al cyber cafè, dove finiamo la prima parte e la inviamo. Ha smesso di piovere e possiamo uscire, ma fuori ci aspettano alcune sorprese. Jo per la prima volta ha lasciato volutamente le chiavi in macchina, tranquillo di contare sul doppione che Cristiano porta sempre legato ai pantaloni…. Ma la chiave non si trova! Dopo estenuanti ricerche all’interno del centro commerciale, rassegnati allo smarrimento della stessa, contrattiamo il prezzo dell’apertura indolore della macchina con due scassinatori di professione, sempre presenti nei parcheggi dei centri: l’equivalente di 15 dollari. In 30 secondi risolvono il problema, senza alcun segno di scasso sull’auto. Le chiavi di Cristiano sono nel porta oggetti vicino al cambio: sotto il diluvio universale è rientrato in macchina a prendere la macchina fotografica e ha posato lì le chiavi per organizzarsi prima di uscire sotto la pioggia. All’uscita dal parcheggio altra sorpresa: diversamente da Nairobi, il parcheggio costa più di un dollaro all’ora, dopo sette ore dobbiamo pagarne circa dieci! Dopo breve litigata con la cassiera incredula, otteniamo un piccolo sconto, ma paghiamo sempre una cifra spropositata: tutto sembra molto più costoso in Rwanda.
La sera passa serena con una buona cena in un bel ristorante italiano con prezzi italiani, il Sole Luna, e un paio di birre con partite a biliardo in un pub con musica.
La mattina lasciamo l’albergo e dopo aver caricato l’ammiraglia passiamo al Kigali Memorial Centre: un edificio con stanze piene di foto e pannelli di informazioni storiche e giornalistiche lungo un percorso narrativo che ti fa sprofondare negli orrori del genocidio e nelle pesanti responsabilità delle forze di pace dell’ONU e delle ex potenze coloniali: come sempre mi sento parte di quella parte di mondo che soffia sui tanti carboni accesi sparsi sulla terra, convinta di poter sempre controllare le fiamme, per poi dileguarsi appena in fuoco si allarga. I pensieri si fanno pesanti…
L’edificio è posto al centro di un grande giardino diviso in settori diversi che scandiscono un percorso simbolico che attraversa il prima, il durante e il dopo genocidio: il giardino della divisione, quello della morte, quello della nuova unità, il bosco dei giovani. Usciamo da questo luogo della memoria in rispettoso silenzio, fermandoci davanti all’elenco dei nomi dei morti incisi in bianco su delle lastre nere, e fuori troviamo una moltitudine di persone scesa da un paio di bus che improvvisamente si mettono in fila dietro uno striscione e si dirige verso l’entrata, facendosi controllare con pazienza dalle guardie con metal detector. La lunga fila blocca la nostra macchina parcheggiata fuori, ma non pensiam o neanche per un attimo di disturbare quel rito di pace e fratellanza, quelle persone di diverse etnie, come appare evidente dai tratti fisici e somatici, e di diversa estrazione sociale, come appare dai vestiti e dalle scarpe, che insieme entrano in quella densa fossa di ricordi dolorosi da cui siamo appena usciti.
Partiamo alla volta dell’Uganda con queste immagini nel cuore, un miscuglio di sentimenti ingarbugliati che ci accompagnano lungo le Mille Colline del Rwanda.. e oltre.
Usciti dalla città riprendiamo a salire e scendere, la strada costeggia un serpente pianeggiante tra le vette delle colline, forse scavato dalle acque che si raccolgono dalle vette: un immenso letto di un fiume ora asciutto coltivato in modo preciso e quasi maniacale a thè, che crea figure geometriche di verde brillante separate dai canali marroni di irrigazione e dai viottoli per il passaggio dei coltivatori…per un attimo il pensiero ritorna alla precisione maniacale con cui è stato perpetrato il genocidio nella soluzione finale per annientare i Tutzi…Lasciamo questo stupendo minuscolo paese, cambiati da tanta bellezza così vicina a tanto orrore…

UGANDA
25 Ottobre/2 Novembre 2008

Freddo e pioggia ci accompagnano sino al confine con l’Uganda, dove arriviamo a pomeriggio inoltrato: impossibile pensare di arrivare al Parco dei Gorilla, nostra prossima meta e ultima speranza di realizzare uno dei 5 punti fermi del DSN.
Ci fermiamo a Kabale, grosso villaggio lunga la strada che si biforca in due direzioni: ad ovest i parchi sulle montagne, ad est la capitale Kampala. Troviamo un market gestito da indiani rifornitissimo, in cui troviamo pasta italiana, pancetta e altri generi introvabili fuori dalle capitali. Dopo la ricca spesa cerchiamo invano delle scarpe da pioggia adatte per inoltrarci nella foresta sotto la pioggia. CI imbattiamo in un punto di informazione turistica sui parchi montani, che ci consiglia di provare al parco della Impenetrabile Foresta del Bwindi: siamo fuori stagione e abbiamo grandi chances di ottenere il permesso di entrata.
Continuiamo la salita con rinnovata energia per la bella e fiduciosa indicazione, mentre i campi coltivati, meno ordinati che in Randa, lasciano posto poco a poco alla vegetazione tipica della foresta montana: in lontananza iniziamo a scorgere all’orizzonti fitte macchie verdi sormontati dalla foschia…l’atmosfera di “Gorilla in the mist” inizia a pervadere il nostro animo e ci sentiamo molto vicini a questi irraggiungibili e affascinanti primati…sembra un sogno essere ad un passo dal vederli dal vivo.
Ad un tratto la salita si fa dura e l’ammiraglia si arrampica su una stretta strada avvolta dalla nebbia e da una impenetrabile vegetazione. L’umidità ci entra nelle ossa molto prima di arrivare al Bwindi Impenetrabile NP. Il camping è spettacolare, adagiato sule piane ricavate nella collina: scegliamo un prato degno di Wembley o del Nou Camp, una piazzola stupenda con un forno a legna sulla piana superiore…sentiamo già la fragranza del pane fatto in casa. Esageriamo con pasta al salmone, fagioli con le salsicce e pane caldo appena sfornato…l’altitudine e il freddo aumentano l’appetito. Un ragazzo del camping si unisce alla cena e ci procura un paio di scarponi, perfetti per Jo, e uno di stivali che calzano perfetti a Cristiano con tutti i plantari…buon segno!
Dormiamo tra sette brandine sognando i gorilla e ci svegliamo alle 6:00 per provare a rimediare un paio di permessi. Alle 7:00 puntuali siamo al quartier generale dei Rangers, ma ci dicono che per ora non ci sono disdette, di tornare alla tenda e di aspettare…
Il colpo e forte ma manteniamo alto il morale, un buon caffè caldo, vestiti e pronti a cogliere qualsiasi occasione…la buena onda esce dalla tenda a fianco della nostra, un tipo incontrato la sera prima che ci chiede se abbiamo risolto per i permessi. Quando apprende che stiamo ancora aspettando e che manca pochissimo alla partenza dei gruppi, se ne va e ritorna poco dopo con due permessi intestati a due passaporti USA!!!
Li compriamo al volo a 500 USD ciascuno, sperando che non ci facciano problemi ma con un pizzico di timore di aver preso la classica sola.
Timore infondato: i Rangers dimostrano di essere avvezzi a questa compravendita di permessi e insistono per sapere se ci chiamiamo veramente come scritto sul permesso….solo perché ci tengono a rilasciare, a fine giornata, il Gorilla Tracking Certificate con il giusto nome, che certifica che sei riuscito ad arrivare sino alla cima della montagna per incontrare i mistici Gorilla in the mist!
La nostra felicità esplode e partecipiamo con sorrisi ebeti alla riunione sul prato dove impartiscono le regole della scalata: la parola d’ordine è quella del rispetto dell’ambiente e dell’habitat dei gorilla.
Partiamo con il gruppo a piedi, che salirà proprio lungo il cammino dietro il quartier generale. La salita inizia tranquilla, lungo un sentiero segnato, poi inizia ad entrare nella foresta e il percorso diventa umido e viscido. Ci fermiamo molte volte, nel gruppo c’è una donna asmatica soprappeso, che da subito inizia a pippare dal classico inalatore portatile, accompagnata dalla mamma ultrasettantenne che tiene meglio il passo. La foresta si fa fitta e la stanchezza inizia a farsi sentire: i rangers indicano in alto e ci fanno notare che siamo a metà strada!!! Lungo un tragitto in cui ti viene da pensare di mollare una decidina di volte, incontriamo un paio di ragazze scalze con fasci di legna sulla testa che galleggiano su quel terreno impervio come stambecchi di montagna. Siamo quasi sul punto più alto, iniziamo ad addentrarci nella foresta su un percorso piano. Non è più salita costante ma il terreno diventa melmoso e ogni piccolo dislivello è un’occassine per andare lunghi con il culo per terra. Come ci avevano promesso, iniziamo a cambiare aspetto, i vestiti diventano color terra e a turno tutti ci ritroviamo con le mani nel fango: siamo nell’impenetrabile foresta. Arriviamo con difficoltà in una piccola radura sotto un tetto di vegetazione e ci dicono di lasciare gli zaini lì: possiamo portare solo la macchina fotografica. Inizia il tracking, la ricerca delle tracce dei gorilla: abbandoniamo il terreno ed iniziamo a camminare sulla vegetazione intricata e su rami spezzati, a carponi come i gorilla: il ranger che abbiamo raggiunto nella foresta che apre la strada con un macete, , ripete un grugnito di richiamo a cui, ad un certo punto, i gorilla rispondono: li abbiamo agganciati!
Una famiglia di gorilla che ha seguito per tutta la mattina segnalando la loro posizione via radio al nostro capogruppo. Ben presto il tracking diventa un chasing, un inseguimento, perché come i gorilla si muovono sentendo la nostra presenza, noi li seguiamo attraverso percorsi inesistenti per beccarli alle spalle. Quando finalmente riusciamo a beccarli in una parte di vegetazione più aperta, riusciamo a vederli in tutta la loro immensa bellezza: ci sediamo in assoluto silenzio a 10 metri da loro, che mangiano placidi le foglie che strappano dai rami penzolanti. Ad un tratto il Silverback, l’unico capo incostrato del gruppo, il maschio più grande che ha la parte posteriore argentata, si gira verso il ranger apripista e, aprendo le braccia in tutta la sua immensa mole, ci mostra i denti con un urlo…il ranger con la mano sinistra strattona Cristiano al suo fianco tenendolo indietro e con la destra alza il machete verso il Silverback, cacciando lo stesso urlo come risposta!!!
E’ solo una dimostrazione, il maschio deve far vedere chi è che comanda e avvertirci che siamo nel suo territorio, ma non vuole assolutamente attaccare: sono erbivori pacifici che amano la tranquillità. Ci fermiamo un tempo interminabile davanti ad un piccolo della famiglia, che si arrampica su un piccolo albero davanti a noi e ci offre il suo spettacolo di capriole, versi e finte cadute dai rami, mentre ci osserva curioso con i suoi occhioni espressivi…ma l’incanto finisce, dopo un’ora nel loro habitat scade il tempo massimo di disturbo dell’umano ai gorilla, dobbiamo lasciarli in pace.
Inizia il rientro che si rivela molto peggio dell’andata: le gambe fanno male ed ogni salita sembra non finire mai, mentre le discese spaccano le gambe e la schiena già provate. Al rientro siamo esausti e raggianti e prendiamo come un bellissimo dono il certificato di segugi dell’impenetrabile foresta che, per questa volta, ci ha accolto per osservare i suoi mistici abitanti.
Rientriamo al campo e poco dopo una doccia rigenerante, inizia una pioggia battente interminabile. Ma non ci importa niente, quella pioggia è bellissima sotto il nostro telone montato a mo’ di tettoia che perde goccioloni dai buchi dovuti all’usura del tempo. Ceniamo alla svelta e ci rifugiamo nella tenda che mostra qualche perdita, con piccoli allagamenti interni: ci avvolgiamo nelle coperte e ci addormentiamo con la sinfonia della pioggia che cade sulla foresta.
Al mattino è tutto bagnato ma brilla il sole, mettiamo tutto ad asciugare e quando decidiamo di smontare ricomincia a piovere!!! E si ribagna tutto. Carichiamo tutto il campo così com’è, zuppo, noi compresi e partiamo verso nord, alla volta del Queen Elizabeth NP: si torna alla savana, in pianura, per asciugarci le ossa dopo questa incredibile e irripetibile esperienza.
La strada ritorna ad essere rossa e polverosa, togliamo i maglioni umidi e ci riscaldiamo al sole cocente. Una sosta sul lago Eduard, per acquistare i pesci per la cena, ed entriamo nel bellissimo parco. Purtroppo siamo abituati bene e ci appare un po’ povero di animali: l’erba alta dovuta alle piogge ci impedisce di vedere un animale ad ogni curva come in Kenya o Tanzania. E’ comunque un bellissimo parco incentrato su un grande lago, che al tramonto ci regala nuvole di insetti che partono all’assalto. Mentre montiamo il campo ci armiamo con tutte le difese possibili: pantaloni lunghi, chili di repellente al petrolio e zampironi sparsi attorno al tavolo.
Il giorno dopo ci offre un game drive molto bello, con laghetti vulcanici e rapaci di diverse specie.
Usciamo dal parco verso nord, passando l’equatore con foto di rito, alla volta di Fort Portal, dove prenderemo la strada per Kampala.
Ci accoglie una città caotica e inquinata all’inverosimile, Nairobi al confronto sembra una città svizzera. Guidano anche peggio e i matatu (pulmini a 14 posti che fanno da taxi collettivi) sono ancora più spericolati. Ci dirigiamo verso Kabalagala, nota via della città piena di vita e di locali. Troviamo un hotel economico e ci concediamo una serata tra la gente.
Il giorno dopo facciamo visita a Guido, un ristoratore a cui Jo ha fatto il training di apertura al personale quasi dieci anni prima. Ci accoglie con gioia, dopo che abbiamo constatato che la cucina, se possibile, è anche migliorata: resta il miglior ristorante italiano della grande Kampala. Guido, felicissimo della visita, e Jo si immergono nei ricordi delle 5 settimane di proficuo lavoro e aneddoti. Guido ha allargato la sua attività, aprendo sul retro del ristorante una stupenda guesthouse con camere arredate con gusto attorno ad una piscina con prato all’inglese. Poco distante da lì ha aperto una pizzeria, dove ci invita a cenare come suoi ospiti. La pizza risulterà ottima è il posto molto bello e arredato con gusto, con una palapa immensa che copre il grande spazio dei tavoli. Anche il pranzo è a suo carico, dimostrandosi un signore oltre che una simpaticissima persona con una gran forza e voglia di vivere. In realtà è un amico, di quelli che il tempo e la distanza non intaccano minimamente. Ci facciamo indicare un market italiano, dve trovare un po’ di scorte, e ripartiamo alla volta di Jinja, la città cresciuta attorno la sorgente del Nilo.

Da Kampala a Jinja il tragitto e’ breve. Cerchiamo la sorgente del mitico fiume Nilo e seguendo la guida “Lonely Planet” rintracciamo un campo chiamato White Nile Explorer. Si scopre di seguito che hanno un campo sul Nilo e che ogni giorno portano i clienti a fare water rafting, in pratica a scendere le rapide del fiume su degli appositi gommoni. Non ci sembra vero e prendiamo l’occasione al volo! L’area per il campo e’ fantastica, ci sono i bagni con le docce, un bar con ristorante e a fianco il Nilo che viaggia senza sosta per raggiungere il Mediterraneo 3000 Km piu’ a Nord.
Il prato che ospita il nostro campo e’ tenuto cosi’ bene che non accendiamo neanche il fuoco per non rovinarlo. Ci cuciniamo cena e a letto presto per essere freschi l’indomani.
In mattinata Cri’, dopo averci pensato tutta la notte decide che non partecipera’ al water rafting, l’ operazione subita a seguito della frattura di tibia e perone qualche mese prima lo preoccupa e non si sente sicuro di affrontare una tra le piu’ estreme discese sul fiume piu’ lungo e imponente d’Africa. Jo c’e’ senza pensarci 2 volte!
Al luogo d’incontro ci sono circa 50 persone, instruttori inclusi pieni d’adrenalina e pronti a lasciarsi prendere dalle acque in tumulto del Nilo.
L’introduzione al gommone e a come comportarsi in ogni situazione e lunga e dettagliata, una volta sul fiume sui tratti calmi l’istruttore ci insegna ancora a come seguire i suoi comandi nei momenti piu’ difficili, a come governare lungo le rapide e cosa fare quando il gommone e’ completamente nelle mani del fiume. La discesa dura quasi 4 ore, quello che succede nel frattempo e’ indescrivibile e personalmente mi ha segnato in modo particolare la potenza dell’acqua che riduce le tue possibilita’ di contrastarla al minimo o quasi nulla. L’arrivo, dopo lunghe pagaiate e cascate infinite e ribaltamenti ci trova tutti sfiniti, ovattati di felicita’ per aver sfidato uno dei corsi piu’ terribili della terra durante la stagione delle piogge in un momento in cui il fiume ha tutta la sua forza portata dalla piena delle acque. Spero di riuscire di copiare il CD che ho comprato all’arrivo e di riuscire a metterlo nel mio blog, e’ il solo modo di spiegare quello che e’ successo!

PARTE 4, RITORNO IN KENYA
3/8 Novembre 2008

Il ritorno in Kenya dopo le peripezie ugandesi e’ abbastanza traumatico. Jo, la mattina della partenza da Jinja, si sveglia con un bel 39 di febbre e si accorge di avere un infezione dovuta ad una vescita che si e procurato durante la salita per cercare i gorilla: a distanza di quasi una settimana si e’ infettata infiammando 2 ghiandole. Lo scarponcino che aveva usato per la salita era un po stretto!
Con un paio di paracetamolo Jo conduce l’ammiraglia a pochi chilometri dal confine, poi stremato dalla febbre che risale passa nel posto del navigatore per un sonno ristoratore. Dopo poco il motore emette un sibilo preoccupante: il manicotto del radiatore che avevamo gia sostituito si e’ spaccato per il calore e l’eta’. Jo neanche scende, continua a sonnecchiare mentre Cristiano esegue una riparazione di fortuna sulla base di quella gia’ effettuata. Si riparte a 50 km e 2.000 giri.
Comunque tra una febbre e l’altra arriviamo ad Eldoret per un set di antibiotici e gia’ dal giorno dopo Jo sta meglio, in ogni caso il viaggio non si e’ mai interrotto.
Le belle strade che hanno caratterizzato gli ultimi 3 paesi visitati sono solo un ricordo e il passaggio della frontiera con i suoi bei crateri ci ricorda che siamo rientrati in Kenya. Decidiamo con molto dispiacere che il tempo a disposizione per visitare il Lago Turkana, uno dei pilastri del nostro viaggio, e’ poco e di conseguenza lungo la strada per il Lago Baringo e il Lago Bogoria studiamo il “piano b”, che tagliera’ circa 500 Km di strada al nostro viaggio ma aggiungera’ del tempo per visitare il Samburu National Park ed il Buffalo Game Reserve, due tra i piu’ bei parchi del nord kenyano.
Il viaggio da Eldoret verso i due laghi sopra menzionati passa molto piacevolmente, celebriamo i 5000 Km di strada con la classica foto scenica con la Kerio valley alle nostre spalle, scendiamo dai 2300 Mt SLM fino ai 900 Mt passando attraverso Kabernet e lasciando il clima montano per ritornare nel clima secco della savana. Entriamo nella zona della Rift Valley, una zona vulcanica della notte dei tempi che ha creato una depressione enorme che dal mediterraneo taglia l’Africa in due parti fino al Sud Africa. Quest’ area ha dato vita alla zone dei laghi che includono da Nord verso Sud il Baringo, Bogoria, Nakuru, Elmentaita e Naivasha.
Arriviamo a campeggiare sul lago Bogoria nel tardo pomeriggio, in tempo per montare il campo nella terra di un hotel, lavare qualche panno, accdendere un bel fuoco, preparare una bruschetta alla pancetta e cucinare una delle nostre belle paste da gustare mentre l’ultima luce di un tramonto infinito si affievolisce.
La notte di solito tranquilla e passata a gustare un liquore ed ascoltare musica si trasforma piacevolmente quando scopriamo che l’hotel ha una piscina di acqua di sorgente calda...cosi’ alle 10 di sera, con miloni di stelle sulle nostre teste, finiamo a giocare a pallamano con le porte galleggianti. Sembra di essere in una vasca da bagno gigante, la temperatura dell’acqua e’ perfetta e le ore passavano piacevoli sapendo inoltre che la sorgente d’acqua ha proprieta’ curative grazie ai numerosi minerali contenuti. E’ l’uscita dall’acqua comunque che si rivela traumatica, l’escursione termica di almeno 15 gradi ci riporta alla realta’ in un attimo. La notte passa tranquilla tra richiami notturni di bufali nella vicinanza del nostro campo.
Il giorno dopo facciamo visita al lago Bogoria National reserve, un parco molto piccolo con una lunghezza massimo di 15 Km. Il ranger dopo un po di opera di convincimento ci fa entrare entrambi come residenti a costo ridottissimo con grande sorpresa di Cri’ che e’ pronto a sborsare i soliti 40-50 dollari. Decidiamo di mappare il parco col GPS. Il lago e’ l’ambiente ideale per i fenicotteri rosa, uno spettacolo della natura e cosi’ tra una foto, le mappe, ed una colazione sontuosa a base di uova e salsicce e caffe’ passiamo la mattinata a scoprire un territorio fantastico a misura di una bellissima bomboniera. In uscita incontriamo una macchina ferma per strada, con il proprietario e i numerosi passeggeri immersi dentro il cofano, parecchi pezzi del carburatore smontati che giacciono in ordine sparso sulla strada polverosa, ci fermiamo e ci dicono che la macchina non va.....non siamo sorpresi! Apriamo la nostra officina nel retro della macchina, tiriamo un cavo di traino fuori e tra la gioia degli appiedati li trainiamo fino al gate. Il ranger ci fa notare che il favore datoci all’entrata con il pagamento da residenti ha dato i suoi frutti e restituito abbondantemente con l’aiuto che abbiamo offerto. Dopo i vari ringraziamenti e benedizioni ci dirigiamo verso Nord sul lago Baringo, c’e tanto da vedere compresa l’isola e il vecchio che alleva i serpenti ma lo scopo principale della visita e’ di incontrare Moses, un amico di Jo che non vede da tanto tempo, a cui deve dei soldi da almeno 8 anni. Moses e’ lo stesso, il tempo non lo ha cambiato e Jo lo riconosce subito, c’e’ solo il tempo di una chiacchierata davanti ad una birra gelata a ricordare le avventure dell’ ultima visita quando lui e Domenico arrivarono da Nairobi durante un safari notturno per scoprire un alba dorata la mattina dopo sul lago. Tante risate e tanti bei ricordi, il debito pagato dopo tanti anni e siamo di nuovo per strada alla volta di Mararal, terra di cammelli, dove ogni anno si svolge l’ormai famoso “Mararal Camel Derby”. Arriviamo di notte al Yare camp site ma, considerando il cielo minaccioso di pioggia, preferiamo prendere una camera con doccia calda e la tv nella zona comune che da le partite della coppa campioni. Incontriamo tante persone di passaggio che tornano o che vanno al Turkana, ci sale il dispiacere del nostro ritardo e l’impossibilita’ di visitare uno dei luoghi piu’ belli e remoti del Kenya...ma noi abbiamo il nostro piano b e l’indomani siamo sulla strada per il Samburu National Reserve. Il cammino e’ stupendo, tra i piu’ bei panorami visti fino ad ora, linee di montagne che si perdono all’orizzonte attraverso piste rosse tra le piu’ belle.
Durante una sosta si avvicina un vecchio Samburu che mi offre un machete da comprare e senza motivo visibile mi faccio convincere e lo compro per tenerlo in macchina senza sapere che all’arrivo al Samburu Reserve tornera’ molto utile per fare legna per il nostro fuoco! Cosa avremmo fatto senza quel machete!
Il Samburu e’ particolare perche’ ospita delle specie animali che non si trovano in altri parchi, la zebra di Grevy con le strisce strette, la giraffa reticolata dal mantello stupendo, l’antilope gerenuk dal collo alto che riesce ad arrivare ai germogli piu’ alti dove altre antilopi non arrivano e il babbuino senza paura, il quale non si fa problemi a fronteggiarti per rubacchiarti il pane, lo zucchero o altre scorte. Il babbuino ci e’ rimasto molto impresso: infatti, in un occasione durante la colazione, con il campo montato a pieno regime, e’ passato con il suo bambino aggrappato al dorso sopra il nostro tavolo imbandito con bottiglie, bicchieri, piatti, moka, portatili e vari caricabatterie rubando il contenitore dello zucchero senza rovesciare niente e lasciando una sola impronta sul portatile di Cristiano. Inutile l’ inseguimento, siamo riusciti a recuperare solo il cucchiaino che aveva scartato in quanto non commestibile! Che gran figlio di ........., ci ha comunque costretto a smontare il campo quando siamo usciti per il nostro giro giornaliero per evitare danni alle tende, ci hanno infatti detto che i babbuini di quella zona rompono le tende se sentono odori di cibo.
Il Samburu e’ in piena stagione delle piogge e molte strade hanno richiesto il massimo impegno dell’ammiraglia, in special modo su un tratto di “black cotton soil” tipo di terreno che al contatto con l’acqua diventa viscido come il sapone. In un momento di difficolta’ quando il fango ci ha bloccati, ci siamo guardati e ci siamo detti: Aspettiamo che asciuga? Ma l’ammiraglia non aveva ancora detto l’ultima e forte della trazione integrale delle 4 ruote motrici ci tira fuori con un grande sospiro di sollievo.
Seguiamo una leonessa svogliata che noncurante della nostra presenza si avvia con passo lento verso un cespuglio per ripararsi dal sole e in tempismo assoluto un dik-dik (l’antilope piu’ piccola d’Africa) che dallo stesso cespuglio esce come fulmine, spaventato a morte dalla presenza del re della foresta, nella sua corsa quasi non toccava terra.
Piu’ in la un gruppo di elefanti che riposa sotto l’ombra di un grande albero con i piu’ piccoli che distesi dormono protetti dalle matriarche del gruppo.
Tutte situazioni del genere durante la lunga giornata passata a mappare il territorio del parco ed i game drive ad osservare tutte le specie che incontravamo fino al tramonto coperto da una coltre di nubi minacciose che non hanno tardato a farsi sentire col frastuono tipico dei temporali della stagione delle piogge.
Il temporale in questione e’ ancora visibilmente lontano, la pioggia cade e bagna le colline a Est ma si avvicinava minaccioso, abbiamo giusto il tempo di ritornare al campo lungo il fiume, montare la tenda, montare un telone in previsione della grande pioggia in arrivo e cucinare il pane con la brace in preparazione di una grande grigliata di carne la quale con evidente ritardo viene cucinata sotto la pioggia. Comunque la pioggia, anche se abbondante, non riesce a disturbare una regale cena a base di carne di capra alla griglia accompagnata da pane fresco alle olive.
Col passare del tempo ci accorgiamo che il telone e’ molto inadeguato paragonato alla quantita’ di acqua che scende dal cielo stasera e cosi’ si rifugiamo in tenda a guardarci un cortometraggio di Aldo Giovanni e Giacomo che a questa latitudine ed in questa situazione e’ da piangere dalle risate piu’ che mai!
La mattina dopo scopriamo che il fiume vicino al quale ci siamo accampati e’ cresciuto del triplo, la piazzuola che avevamo contemplato la sera prima (ma scartata) come posto figo per accamparsi era adesso parte del fiume stesso e per complicare le cose il fiume continua a crescere a vista d’occhio e presto si prendera’ tutto quello che possediamo. Ci muoviamo velocemente, la macchina la parcheggio piu’ su e pian piano tutto quello che fa parte del campo viene spostato su terra piu’ asciutta mentre miracolosamente la colazione e’ sul fuoco per la felicita’ dei nostri stomaci.
Questo e’ l’ultimo campo del Decade Safai Njema e al contrario di altre volte quando in 10 minuti la macchina e’ carica con tutto il materiale, questa volta applichiamo una cura diversa, tutto il materiale viene pulito a fondo, raccolto con il miglior metodo e messo da parte con insolita cura.
Il viaggio verso Nairobi ci vede passare sulla strada che porta in Ethiopia con i soliti ingegneri cinesi che supervisionano i lavori per la costruzione della strada asfaltata, sosta ad Isiolo per dare una finale occhiata alla macchina, passaggio a fianco della seconda montagna piu’ alta d’Africa (Mount Kenya) e sosta per la notte a Nyeri. Niente da scrivere su quest’ultima sosta, una semplice cena e un letto comodo per passare la notte.
L’indomani la stessa strada e’ quella che ci porta a Nairobi.
Il DSN e’ arrivato all’epilogo, 5 settimane di viaggio attraverso 5 stati nell’Africa dell’est, alla luce dei fatti l’ammiraglia ha coperto 6022 Km, si e’ bevuta 823 litri di diesel ad un costo di circa 900 Euro, per una media di 7.3 Km per litro, abbiamo forato 7 ruote, cambiato una camera d’aria, assistenza meccanica e pezzi di ricambio per un totale di 130 Euro circa, proprio non male per una macchina che e’ diventata maggiorenne quest’anno!
E noi? Noi torniamo alla vita di tutti i giorni Cri e’ ripartito alla volta del Cameroon dove portera’ avanti il suo progetto con l’Istituto Superiore della Sanita’ ed io torno a fare il marito e papa’ a tempo pieno qui a Nairobi fino al prossimo impegno di lavoro.

Il viaggio appena concluso ha realizzato un desiderio che ho avuto negli ultimi 15 anni passati in Africa, il supporto e la compagnia di Cri’ sono stati fondamentali per la riuscita, sarebbe stato impossibile farlo da solo.

E adesso?.....Adesso si comincia a preparare il viaggio del 2010 quando in Sud Africa si battera’ il calcio d’inizio del campionato del mondo di calcio....Alla prossima!